Questo Blog è nato qualche tempo fa come un archivio on-line
delle mie riflessione sulla mia integrazione in Italia. Due anni fa é diventato
un “diario” della mia gravidanza e poi uno spazio di brainstorming sulle aventure
di una neo-mamma straniera in Italia. L’ho sempre scritto in portoghese perchè come
madrelingua il portoghese è per me naturalmente la língua del pensiero, dei
dubbi, delle domande, delle deambulazioni mentali.
Oggi però devo scrivere in italiano. Devo mettere da parte
la paura di sbagliare. La paura delle doppie, delle metafore non funzionali,
delle frasi non riusciti.
Non è stato facile venire in Italia. Sono arrivata a Siena nell’Agosto
del 2010 molando il sogno di fare l’insegnante per vedere se l’amore che mi
sembrava sentire verso un’uomo – guardacaso senese – era vero. Ed era vero.
Nel primo anno ho fatto tante cose, ma principalmente mi
sono dedicata a impare l’italiano, perche senza la língua di un posto non ci si
può lavorare, fare degli amici, comprare delle scarpe, fare la spesa, sspiegare
quello che pensi.
È stato un anno difficile. Mi sono incavolata con la
burocrazia, con la gente che non rispetta le code, con le leggi stupide e
confuse che nessuno capisce (anche quelli che dovevano), con l’incapictà
generale degli autisti per fermarsi nelle strisce, insomma.
Piano piano, le cose furano cambiano. La fornaia mi diceva
buongiorno, e la fioraia ciao come stai. Il frutivendolo mi avvertiva che il
mio compagno aveva già preso delle pesche. Queste cose piccoline me facevano
sentire a casa, almeno un pocchino. Poi ho lavorato con dei bambini insieme a
una squadra bellisima e questa sperienza mi ha permesso di avere un’infanzia
italiana in seconda mano.
Poi ho lavorato con degli adolescenti, sempre con una
squadra meravigliosa, e quindi ho anche avuto diritto a un’adolescenzia
italiana in seconda mano.
Un giorno abbiamo deciso di sposarci (io e il mio compagno,
chiaramente) per tanti motivi romantici e altri tanti pratici. Uno di questi è
che la legge italiana non prevedeva diritti uguali per i figli nati fuori il
matrimonio, e io non me la sentivo di farla pagare ai miei figli per una decisione
mia. Mesi dopo, la leggi è cambiata e la legge ha passato a considerare
entrambi i figli – nati fuori e dentro il matrimonio – como uguali. Ho sentito
che l’Italia mi coccolava e mi faceva un piccolo “dai, siamo d’accordo con te”.
Mi sono sposata lo stesso però la bilancia ora pendeva più per il romanticismo
(però diciamolo, senza il matrimonio ancora oggi non avrei la tessera sanitária).
Abbiamo detto: facciamo questo figliolo che sarà luso-toscano.
Figlio di due culture tanto simili e tanto diverse come lo possono solo essere
due culture vicine. Sarà nostalgico come i portoghesi, orgoglioso come gli
italiani. Da entrambi erediterà il rapporto di amore-odio col proprio paese, la
sofferenza di essere stato grande, potere esserlo ancora, ma non esserlo. Nella
sua storia ci saranno gli etruschi e i lusitani e anche i conquistatori di
entrambi: i romani.
Nei primi tempi non ho mai pensato seriamente di fare l’insegnante
in Italia. Mi sembrava troppo difficile, troppo lontano, troppo confuso. Il mio
compagno è molto calmo, paziente e insistente e piano piano ha seminato questa
idea nel mio cuore.
Per fare l’insegnante in Italia dovevo dare un esame di
Italiano (CILS-DIT) che atesta che io ho una conoscenza di italiano che mi
permette di fare l’insegnante in una scuola italiana. Dopo due anni, sono
ripartita con le lezioni di italiano, mirate a dare questo esame. Nel fratempo
sono ingravidata (sarebbe meglio dire “diventata incinta” vero?)e quindi ho
datto l’esame con una bella pancia di 8 mesi. Mesi dopo ho saputo di avercela
fatta.
Nel fratempo, l’idea di fare l’insegnante si è
riaddormentata. Come neo-mamma avevo tante altre priorità come, ad esempio, dare
il mio cognome al mio figlio (oltre quello del suo babbo).
Ho fatto sempre tanta fatica a spiegare agli italiani il
quanto questo era importante per me. Gli uomini ne vedevano principalmente una grossa rottura di scatole
per il piccolo e le donne forse non ci hanno nemmeno pensato. In un incontro di
“femministe” mi sono anche sentita dire che non era assolutamente una priorità.
Ho pensato che questa cosa dei cognomi era importante solo per gli uomini, non
capivo – anzi, non capisco – come mai le donne non ne pensino, come possono
accetare di fare questi filgioli e poi non dargli nemmeno il suo nome. Insomma.
Ho fatto la richiesta e 5 mesi e 60€ dopo il mio piccolo aveva i due cognomi.
Ora la legge italiana è cambiata di nuovo, e un figliolo ha anche il diritto ad
avere il cognome della mamma. Grazie Italia, per ancora una volta essermi
venuta incontro! (magari se l’avessi fatto qualche mesetto prima mi avresti
risparmiato i 60€, però dai, accontentiamoci)
Dopo questa aventura anagrafica, ho inviato un monte (literalmente)
di documenti al MIUR (muorrendo di paura di avere sbagliato documenti, ormai
questa paura italiana della macchina burocrática è diventata anche mia) e
qualche settimana dopo mi hanno risposto una cosa del tipo: abbiamo ricevuto la
sua richiesta, tra qualche mese le daremo una risposta. Pum-pum-pum, mi bateva
il cuore. L’Italia mi stava prendendo sul serio!
Nel fratempo ho anche trovato qualche italiana che volessi
imparare la mia língua. Forse per un madrelingua inglese, spagnole, francese,
tedesche o di qualche altra língua della moda questa é una cosa normale ma per
una portoghesa… insoma, ora ho tre studentesse, niente male per chi è partita
con la permessa “ma chi cavolo vuole impare il portoghese?”
Sono passati quatri anni e pum-pum-pum-pum-pum-pum, mi bate anco
ril cuor… è arrivata un’altra lettera del MIUR (possibile che mi abbiano
effetivamente risposto??) “si signora si fai questo e questo altro ti facciamo
fare l’insegnante in Italia”. Ma…. Sarà possibile? Non so se sarà effetivamente
possibile, ma la possibilità me la stanno dando.
Italia, Siena, in quattro anni mi hai fatto avere tante
incazzature grosse. Ma principalmente mi hai datto una casa, una familia, amici
buoni (amiche a dire il vero), un modo di pensare e di vedere il mondo
completamente divverso – più ricco e più consistente. Non sarò mai italiana, ma
senza l’Italia, non sarei mai quello che sono.
Per tutto ciò grazie, e grazie a tutti quelli italiani,
italiane, stranieri e straniere che mi fanno battere il cuore e avere voglia di
mettermi alla prova, provare cose di cui ho paura e voglia allo stesso tempo.
Non importa se non riuscirò a riaggiungere i miei sogni, importa sollo riuscire
a superare la paura di perseguitarli e ad avere l’energia per non smettere mai
di fare nuovi sogni, e dicendo sogni, voglio dire progetti.
*scusate degli errori fatti….