segunda-feira, 14 de julho de 2014

Grazie Italia



Questo Blog è nato qualche tempo fa come un archivio on-line delle mie riflessione sulla mia integrazione in Italia. Due anni fa é diventato un “diario” della mia gravidanza e poi uno spazio di brainstorming sulle aventure di una neo-mamma straniera in Italia. L’ho sempre scritto in portoghese perchè come madrelingua il portoghese è per me naturalmente la língua del pensiero, dei dubbi, delle domande, delle deambulazioni mentali.

Oggi però devo scrivere in italiano. Devo mettere da parte la paura di sbagliare. La paura delle doppie, delle metafore non funzionali, delle frasi non riusciti.

Non è stato facile venire in Italia. Sono arrivata a Siena nell’Agosto del 2010 molando il sogno di fare l’insegnante per vedere se l’amore che mi sembrava sentire verso un’uomo – guardacaso senese – era vero. Ed era vero.

Nel primo anno ho fatto tante cose, ma principalmente mi sono dedicata a impare l’italiano, perche senza la língua di un posto non ci si può lavorare, fare degli amici, comprare delle scarpe, fare la spesa, sspiegare quello che pensi.

È stato un anno difficile. Mi sono incavolata con la burocrazia, con la gente che non rispetta le code, con le leggi stupide e confuse che nessuno capisce (anche quelli che dovevano), con l’incapictà generale degli autisti per fermarsi nelle strisce, insomma.

Piano piano, le cose furano cambiano. La fornaia mi diceva buongiorno, e la fioraia ciao come stai. Il frutivendolo mi avvertiva che il mio compagno aveva già preso delle pesche. Queste cose piccoline me facevano sentire a casa, almeno un pocchino. Poi ho lavorato con dei bambini insieme a una squadra bellisima e questa sperienza mi ha permesso di avere un’infanzia italiana in seconda mano. 
Poi ho lavorato con degli adolescenti, sempre con una squadra meravigliosa, e quindi ho anche avuto diritto a un’adolescenzia italiana in seconda mano.

Un giorno abbiamo deciso di sposarci (io e il mio compagno, chiaramente) per tanti motivi romantici e altri tanti pratici. Uno di questi è che la legge italiana non prevedeva diritti uguali per i figli nati fuori il matrimonio, e io non me la sentivo di farla pagare ai miei figli per una decisione mia. Mesi dopo, la leggi è cambiata e la legge ha passato a considerare entrambi i figli – nati fuori e dentro il matrimonio – como uguali. Ho sentito che l’Italia mi coccolava e mi faceva un piccolo “dai, siamo d’accordo con te”. Mi sono sposata lo stesso però la bilancia ora pendeva più per il romanticismo (però diciamolo, senza il matrimonio ancora oggi non avrei la tessera sanitária).

Abbiamo detto: facciamo questo figliolo che sarà luso-toscano. Figlio di due culture tanto simili e tanto diverse come lo possono solo essere due culture vicine. Sarà nostalgico come i portoghesi, orgoglioso come gli italiani. Da entrambi erediterà il rapporto di amore-odio col proprio paese, la sofferenza di essere stato grande, potere esserlo ancora, ma non esserlo. Nella sua storia ci saranno gli etruschi e i lusitani e anche i conquistatori di entrambi: i romani.

Nei primi tempi non ho mai pensato seriamente di fare l’insegnante in Italia. Mi sembrava troppo difficile, troppo lontano, troppo confuso. Il mio compagno è molto calmo, paziente e insistente e piano piano ha seminato questa idea nel mio cuore.
Per fare l’insegnante in Italia dovevo dare un esame di Italiano (CILS-DIT) che atesta che io ho una conoscenza di italiano che mi permette di fare l’insegnante in una scuola italiana. Dopo due anni, sono ripartita con le lezioni di italiano, mirate a dare questo esame. Nel fratempo sono ingravidata (sarebbe meglio dire “diventata incinta” vero?)e quindi ho datto l’esame con una bella pancia di 8 mesi. Mesi dopo ho saputo di avercela fatta.

Nel fratempo, l’idea di fare l’insegnante si è riaddormentata. Come neo-mamma avevo tante altre priorità come, ad esempio, dare il mio cognome al mio figlio (oltre quello del suo babbo).
Ho fatto sempre tanta fatica a spiegare agli italiani il quanto questo era importante per me. Gli uomini ne vedevano  principalmente una grossa rottura di scatole per il piccolo e le donne forse non ci hanno nemmeno pensato. In un incontro di “femministe” mi sono anche sentita dire che non era assolutamente una priorità. Ho pensato che questa cosa dei cognomi era importante solo per gli uomini, non capivo – anzi, non capisco – come mai le donne non ne pensino, come possono accetare di fare questi filgioli e poi non dargli nemmeno il suo nome. Insomma. Ho fatto la richiesta e 5 mesi e 60€ dopo il mio piccolo aveva i due cognomi. Ora la legge italiana è cambiata di nuovo, e un figliolo ha anche il diritto ad avere il cognome della mamma. Grazie Italia, per ancora una volta essermi venuta incontro! (magari se l’avessi fatto qualche mesetto prima mi avresti risparmiato i 60€, però dai, accontentiamoci)

Dopo questa aventura anagrafica, ho inviato un monte (literalmente) di documenti al MIUR (muorrendo di paura di avere sbagliato documenti, ormai questa paura italiana della macchina burocrática è diventata anche mia) e qualche settimana dopo mi hanno risposto una cosa del tipo: abbiamo ricevuto la sua richiesta, tra qualche mese le daremo una risposta. Pum-pum-pum, mi bateva il cuore. L’Italia mi stava prendendo sul serio!

Nel fratempo ho anche trovato qualche italiana che volessi imparare la mia língua. Forse per un madrelingua inglese, spagnole, francese, tedesche o di qualche altra língua della moda questa é una cosa normale ma per una portoghesa… insoma, ora ho tre studentesse, niente male per chi è partita con la permessa “ma chi cavolo vuole impare il portoghese?”

Sono passati quatri anni e pum-pum-pum-pum-pum-pum, mi bate anco ril cuor… è arrivata un’altra lettera del MIUR (possibile che mi abbiano effetivamente risposto??) “si signora si fai questo e questo altro ti facciamo fare l’insegnante in Italia”. Ma…. Sarà possibile? Non so se sarà effetivamente possibile, ma la possibilità me la stanno dando.

Italia, Siena, in quattro anni mi hai fatto avere tante incazzature grosse. Ma principalmente mi hai datto una casa, una familia, amici buoni (amiche a dire il vero), un modo di pensare e di vedere il mondo completamente divverso – più ricco e più consistente. Non sarò mai italiana, ma senza l’Italia, non sarei mai quello che sono.

Per tutto ciò grazie, e grazie a tutti quelli italiani, italiane, stranieri e straniere che mi fanno battere il cuore e avere voglia di mettermi alla prova, provare cose di cui ho paura e voglia allo stesso tempo. 
Non importa se non riuscirò a riaggiungere i miei sogni, importa sollo riuscire a superare la paura di perseguitarli e ad avere l’energia per non smettere mai di fare nuovi sogni, e dicendo sogni, voglio dire progetti.
*scusate degli errori fatti….

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